Fabio Rosini
L’emorroissa e il sentiero della vita sana
In questo nuovo volume don Fabio Rosini propone un cammino personale (e perciò universale) di guarigione della vita interiore e affettiva. La guida è una donna malata di duemila anni fa, l’emorroissa, che si incontra nel capitolo quinto del Vangelo di Marco, e della quale si analizza il processo di guarigione paradigmatico e simbolico.
Un viaggio suddiviso in tre tappe – diagnosi, guarigione e vita sana duratura – in cui si procede sulla base di domande utili, da farsi al cospetto di Chi ci vuole bene, per lasciare che Lui doni pian piano le risposte. Il segreto della diagnosi è identificare i sintomi degli atteggiamenti tortuosi che produciamo nella nostra esistenza, per gettare luce sulle falsità che portiamo nel cuore. E a quel punto inizia l’avventura vera e propria: parte da un suono che arriva al nostro orecchio, la voce di qualcuno che parli di Gesù, e che faccia sgorgare in noi il desiderio di “toccarlo” per stabilire un contatto con Lui. Così facendo si sperimenta la potenza che esce da Lui, ossia la sua Vita che ci può rigenerare. Una volta guariti si è in grado di chiamare per nome “tutta la verità”, perché si è alla Sua presenza. Il punto di arrivo del viaggio è capitalizzare la saggia arte di guarire, che è un assetto sano di vita: ossia, stare dentro un processo costante di cura di sé e camminare nella pace, facendo umilmente i conti con le nostre fragilità.
AUTORE: Rosini Fabio
EAN: 9788892220812
EDITORE: San Paolo Edizioni
PREZZO: EUR 16.00 IVA assolta
PAGINE E FORMATO: 336 (8)
TIPOLOGIA PRODOTTO: Libro in brossura
DIMENSIONI E PESO: 135 x 210 x mm g
ESTRATTO prefazione di ANDREA MONDA Direttore da L’Osservatore Romano
Sono stato incauto quando ho risposto positivamente all’invito di don Fabio Rosini a scrivere la prefazione al libro che avete tra le mani. Perché ci sono dei libri che corrispondono a quanto diceva Walt Whitman rispetto al suo capolavoro, Foglia d’erba (vale la pena citare tutto il brano): «Amico, questo non è un libro / Chi tocca questo tocca un uomo / È forse notte? Siamo insieme noi due soli?) / Sono io quello che tu tieni e che ti tiene / Da queste pagine balzo tra le tue braccia / la morte mi fa risorgere». Chi tocca questo libro tocca don Fabio. Toccare è il verbo giusto perché questo, tra le altre cose, è un libro sul senso forse più religioso di tutti, anche più dell’udito, il tatto appunto. Leggendo queste pagine si entra in contatto diretto, fisico quasi, con fautore. C’è l’autore che, come una tigre, è acquattato tra le pagine di questo libro, pronto a balzare e afferrarti. Tu lo tieni in mano (il libro) e lui ti tiene, ti afferra e non ti molla fino all’ultima pagina. Soprattutto la prima parte, quella. relativa alla“diagnosi”, crea da subito le condizioni per uno strenuo corpo a corpo con il lettore. Si tratta infatti (anche) di un libro-confessione in cui don Fabio si mette a nudo e così facendo mette a nudo anche il cuore del lettore. Da qui la mia imprudenza nell’accettare la proposta di scrivere la prefazione: la lettura non è stata tranquilla né rassicurante, al contrario non vedevo l”ora di finire di leggere le pagine sulla “diagnosi” che inizia con la saggia e inquietante affermazione di Isacco di Ninive: «La maggior parte degli uomini che sono malati sostengono di essere sani». Il punto è che il viaggio, anzi la discesa, nei propri “inferi” che fautore compie finisce inevitabilmente per coinvolgere il lettore che si trova a fare i conti anche lui con la propria “diagnosi”. Lettura quindi impegnativa questa de L’ arte di guarire, un testo peraltro ricco di tanti tesori. È un libro ad esempio con poche citazioni ma tutte molto interessanti, Rupnik c Špidlík in primis, consiglio di appuntarsele tutte e di andare ad approfondire: le fonti di questo saggio sono risorse preziose a cui attingere come nutrimento vitale e fecondo. Ma la prima “fonte” è, ripeto, la biografia di don Fabio, in particolare l’esperienza della malattia contro cui da anni combatte il sacerdote romano. Il titolo del breve saggio di Henri Nouwen, Il guaritore ferito, ben si attaglia alla figura dell’autore di questo libro che tra le righe non fa altro che raccontare una storia, la sua. E in effetti un ferito è forse la persona più titolata a discettare di ferite, colui che può parlare della guarigione come di “un’avventura”, cosi don Fabio la definisce in queste pagine che spiccano anche per un sapore poetico (del resto questo non e un saggio sulla guarigione ma sull’arte della guarigione). Prima ancora che di poesia questo libro “sa” molto di oralità, quel corpo a corpo con il lettore scaturisce infatti dall’esperienza delle catechesi che, anche su questo tema, l’autore sta tenendo da decenni in giro per Roma e le altre diocesi italiane. Si tratta dunque di un racconto, molto personale (e perciò universale), che affronta la questione dell’arte di guarire partendo dall’analisi di un brano biblico, l’episodio della donna emorroissa cosi come narrato nel Vangelo di Marco, un testo che ha nel suo centro due aspetti di cui uno è appunto il racconto (la donna viene interpellata da Gesù e finisce per dire “tutta la verità”) e il ratto, il con-tatto con Gesù stesso, fonte della guarigione. L’autore, profondo conoscitore del testo biblico, guida il lettore con mano sicura nei meandri, ricchi di tesori, del breve episodio narrato da Marco, e riflette, insieme al lettore, su tutti i punti che emergono dal testo e, appunto, tra le altre cose, si sofferma sulla questione del racconto. «Nella luce della portata simbolico-paradigmatica di questa storia capiamo che la guarigione autentica di una persona comincia all’ascolto››, questo perché noi esseri umani «siamo logici e relazionali, abbiamo qualcosa da dire a qualcuno. Perché una parola è soprattutto una relazione, molto più che un concetto. [. . .] Il mondo della parola è il mondo umano. Il cuore è intessuto di parole che ci si porta dentro». Riflettendo sul fatto che Gesù quasi obbliga la donna guarita a raccontare la sua storia di guarigione (che altrimenti non si compirebbe del tutto), don Fabio osserva che «la guarigione è iniziata da una parola udita e deve finire con una parola detta. [. . .] Abbiamo bisogno di raccontare quel che ci succede. Tutti. L’uomo è il racconto. La sua personalità risiede nella sua memoria, quindi nella sua narrazione». Nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, pubblicato lo scorso 24 gennaio 2020, Papa Francesco ha messo al centro della sua riflessione il tema del racconto, perché, scrive Bergoglio: «Per non smarrirci abbiamo bisogno di respirare la verità delle storie buone: storie che edifichino, non che distruggano; storie che aiutino a ritrovare le radici e la forza per andare avanti insieme. Nella confusione delle voci e dei messaggi che ci circondano, abbiamo bisogno di una narrazione umana, che ci parli di noie del bello che ci abita. Una narrazione che sappia guardare il mondo e gli eventi con tenerezza; che racconti il nostro essere parte di un tessuto vivo; che riveli l’intreccio dei fili coi quali siamo collegati gli uni agli altri. L’uomo è un essere narrante. Fin da piccoli abbiamo fame di storie come abbiamo fame di cibo». La centralità del racconto, come fatto umano, come elemento costitutivo della vita degli uomini, comporta due conseguenze per quanto riguarda la vita della Chiesa, chiamata a diffondere il racconto di Gesù (instancabile nello sfornare racconti sotto forma di parabole): l’importanza cruciale dell’udito e la qualità della narrazione che la Chiesa stessa oggi offre alle orecchie dell’uomo contemporaneo, orecchie appesantire dai venti secoli di cristianesimo e ingolfate dai troppi messaggi che in ogni attimo ci raggiungono stordendoci. Sul primo punto, l’udito, da cui scaturisce la fede, è evidente quanto sia fondamentale recuperare il gusto di ascoltare. Ci vuole un cammino di riabilitazione, di recupero motorio del “muscolo” del timpano che, come nel caso della vista, si trova dalle parli del cuore. Il libro di don Fabio da questo punto è una bella seduta, molto pratica ed esperienziale, di purificazione cardiaca. Il primo esercizio da fare per questo processo catartico è l’esercizio del silenzio. «Non si tratta di essere virtuosi, si tratta di stare zitti», dice al Bianco il personaggio del Nero in Sunset Limited di Cormac McCarthy ed è su questa linea che si muove l’analisi, anche molto severa, di don Fabio Rosini, che non risparmia il suo acume, spesso ricco di humour, soprattutto quando si concentra sul secondo aspetto, sul come oggi viene raccontato Gesù: «Bisognerebbe controllare se il modo di parlare di Gesù muove la gente a toccarlo o se la fa fuggire a gambe levate». Per come se ne parlava “in quel tempo”, la donna emorroissa fu spinta a incontrarlo, a volerlo quantomeno toccare, ma oggi? «Che noia il vittimismo di tanti cristiani» osserva don Fabio, «che di fronte al fatto che le cose di Chiesa non impattano, se la prendono con il mondo. E magari passano pure il tempo a rimproverare la gente». Questo libro invita questi cristiani a togliersi «“lo scafandro del “buon cristiano”›› e ad accettare la sfida che sempre scaturisce dal Vangelo e dal suo protagonista che non chiede una fede convenzionale, “culturale”, comoda, ma che consista «in un rapporto personale. Gesù cerca in questa donna, il miracolo a Lui non basta, la deve vedere, deve mettere gli occhi nei suoi occhi». Da poco più di un anno ho il privilegio di seguire da vicino Papa Francesco nella sua missione di pastore universale della Chiesa cattolica (uno degli aspetti più belli di questo saggio di don Fabio Rosini è l’amore per la Chiesa che traspare in ogni pagina) e ho spesso pensato, vedendolo in azione soprattutto negli incontri con la folla, dove il senso del tatto emerge prepotentemente, che il brano del Vangelo che più esprime lo “stile” di Bergoglio è proprio questo dell’emorroissa, proprio per questa ricerca del “tu per tu”, del “faccia a faccia”, degli “occhi negli occhi”. Ecco, questo libro ci ricorda, proprio come fa Papa Francesco, l’essenzialità del cristianesimo che è innanzitutto un incontro con una Persona, che viene e ci abbraccia e con questo gesto mette in moto il processo di guarigione da ogni ferita; sta poi a noi di rispondere, liberamente e creativamente, come ha fatto quella donna (malata, non virtuosa) ma a suo modo “artista”. E sta a noi lettori rispondere anche a questo libro, per quanto impegnativo, che solo una (sana e provvidenziale) imprudenza può spingere a leggere.
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